L’ipotesi di una guerra dei dazi USA-Europa sul mercato energetico apre scenari contrastanti per l’Italia. Questo articolo esplora due scenari: una cooperazione forzata che acceleri la transizione verde e una paralisi sistemica con ripercussioni su inflazione e sicurezza energetica. Emergono vulnerabilità strutturali del sistema italiano, ma anche opportunità di riposizionamento geopolitico nel Mediterraneo. Il confronto rivela il paradosso ambientale dei conflitti commerciali, tra rischi di lock-in fossile e slanci innovativi. La mitigazione richiede equilibri delicati tra realpolitik energetica e governance climatica multilaterale.
1. Introduzione: il rischio di una nuova guerra commerciale energetica
La crescente competizione geopolitica tra Stati Uniti ed Europa sul mercato energetico globale sta alimentando timori di un nuovo ciclo di dazi incrociati. Il potenziale innesco? La divergenza sulle politiche di approvvigionamento di gas e petrolio, con l’UE orientata verso nuovi fornitori post-Ucraina e gli USA determinati a proteggere la propria industria shale. Questo scenario rischia di riprodurre dinamiche simili alla guerra commerciale Trump del 2018, ma con un’aggravante: l’interdipendenza energetica creata dalla crisi ucraina ha reso i mercati più fragili. Un eventuale aumento dei dazi sul gas naturale liquefatto (GNL) statunitense (attualmente il 40% delle importazioni UE) o sulle tecnologie per fossili europee (es. turbine) potrebbe innescare un ciclo di ritorsioni con effetti sistemici.
2. Scenario ottimista: cooperazione forzata e transizione accelerata
In uno scenario di conflitto contenuto, le tensioni commerciali potrebbero paradossalmente accelerare la transizione energetica. L’UE, per ridurre l’esposizione ai dazi sul GNL USA, accelererebbe gli investimenti in idrogeno verde e regolamentazioni come il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), spingendo gli USA a competere su innovazione low-carbon piuttosto che volumi fossili. Le aziende energetiche transnazionali fungerebbero da cuscinetto, spingendo per clausole di esenzione per progetti congiunti (es. CCS o e-fuel). L’Italia, in questa visione, potrebbe sfruttare la crisi per potenziare il ruolo del Meditteraneo come hub di energie rinnovabili, bypassando parzialmente la dipendenza da importazioni contestate.
Una guerra commerciale sull’energia non fermerebbe i fossili: li renderebbe solo più costosi, rallentando la corsa alle rinnovabili.
3. Scenario pessimista: escalation e paralisi sistemica
Un’escalation incontrollata vedrebbe l’applicazione di dazi del 25-30% sul GNL USA (oggi a $8-10/MMBtu), con ritorsioni europee su tecnologie fossili USA. Ciò scatenerebbe:
- Effetto domino sui mercati: il prezzo del gas in Europa salirebbe a €120/MWh (vs. attuali €40), con spillover sul petrolio (+$30/barile)
- Ripiego su fornitori alternativi: aumento delle importazioni UE da Algeria e Qatar (a costi superiori del 15-20%)
- Stallo climatico: taglio degli investimenti in rinnovabili (-25% secondo modelli Bruegel) per finanziare sussidi emergenziali al fossile
L’Italia, con il 55% del gas da importazioni (di cui 28% USA nel 2023), subirebbe un’inflazione energetica al 14%, erodendo la competitività industriale (-3% PIL secondo stime REF-E).
4. L’impatto sull’Italia: vulnerabilità e opportunità strategiche
Il sistema energetico italiano presenta vulnerabilità strutturali che amplificherebbero gli shock commerciali. La dipendenza da gas via pipeline (Algeria) e GNL (USA) crea esposizioni geopolitiche differenziate, mentre l’inadeguatezza delle infrastrutture di rigassificazione limita la flessibilità operativa. Tuttavia, emergono anche leve strategiche: il potenziamento delle interconnessioni elettriche con il Nord Africa (7 GW potenziali) e lo sviluppo di un hydrogen hub nel Sud Italia potrebbero ridurre la dipendenza da importazioni ad alto rischio. La criticità risiede nel coordinamento europeo: contromisure unilaterali come dazi differenziati per fonte energetica rischierebbero di frammentare ulteriormente il mercato interno UE, amplificando i costi della transizione.
Il Mediterraneo può diventare l’antidoto ai dazi: o lo trasformiamo in hub verde, o sarà l’ultimo anello di una catena energetica in frantumi.
5. Il paradosso ambientale delle guerre commerciali
Le tensioni daziarie generano un duplice effetto perverso sulla sostenibilità. Nel breve termine, l’aumento dei costi delle rinnovabili – legato alle dipendenze da importazioni di componenti – favorirebbe un lock-in fossile, con un potenziale incremento del 15% nell’uso del carbone in Europa. Parallelamente, la competizione tecnologica su CCS e idrogeno verde minaccerebbe la collaborazione internazionale nella R&D, ritardando il raggiungimento degli obiettivi climatici. Le analisi dell’International Energy Agency (IEA) quantificano in un -6% gli investimenti globali in tecnologie net-zero al 2030 in scenari di alta tensione commerciale, vanificando gli sforzi di decarbonizzazione.
6. Conclusioni: mitigazione del rischio e governance multilaterale
Scongiurare il worst-case scenario richiede un equilibrio tra realismo geopolitico e visione sistemica. La creazione di una riserva strategica europea di GNL (20 bcm) e l’esenzione daziaria per tecnologie green rappresentano passi necessari ma non sufficienti. L’estensione degli accordi EU-US Trade and Technology Council alle filiere critiche (es. terre rare per rinnovabili) potrebbe prevenire fratture tecnologiche. Per l’Italia, la chiave risiede nel legare gli investimenti infrastrutturali (rigassificatori, pipeline) a obblighi di reconversion verso l’idrogeno entro il 2035. Solo una governance multilivello che integri sicurezza energetica, equità sociale e imperativi climatici potrà trasformare una crisi commerciale in un acceleratore di resilienza sistemica.